mercoledì, maggio 31, 2006

segno





- Qualunque cosa i segni possano evocare è già passata. Essi sono come le orme lasciate lasciate dagli animali. Ecco perché i maestri di meditazione rifiutano di accettare che la scrittura sia la soluzione definitiva. L’intenzione è quella di raggiungere l’essenza attraverso queste orme, queste lettere, questi segni. Ma la realtà in sé non è un segno, e non lascia tracce.
Non ci viene incontro per mezzo di lettere e parole. Noi possiamo procedere verso di essa seguendo quelle parole e quelle lettere a ritroso. Ma finché ci preoccupiamo dei simboli, delle teorie e delle opinioni, il principio ci sfugge.
- Ma se rinunciamo ai simboli e opinioni non restiamo abbandonati nel totale annullamento dell’essere?
- Sì.


KIMURA KYUHO 1768

martedì, maggio 30, 2006

copyleft

Il video LIFE WASTED (2006) dei Pearl Jam con licenza copyleft.
Come hanno fatto?
Collegati e...diventa creativo!

domenica, maggio 28, 2006

Primo progetto db in rete



Immagini in formato jpg, video, testi... tutto quel che riguarda la vostre fatiche di quest'anno troverà posto in uno spazio dedicato che sarà visitabile dalla fine di giugno. Partendo da db si accederà ad una sorta di deposito "virtuale"...disordinato, secco, improbabile... come al solito. A breve vi darò le istruzioni generali, comprese quelle su come farmi avere il materiale.
Per quel che riguarda i dettagli aspetto proposte individuali e non.... come al solito.

Tutto come al solito...

venerdì, maggio 26, 2006

...
cerco le qualità che non rendono
in questa razza umana
che adora gli orologi
e non conosce il tempo
cerco le qualità che non valgono
in questa età di mezzo
...
cccp -svegliami-

giovedì, maggio 25, 2006

Grande Devid..!!!!!!
Il tuo video SPACCA IL CULO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

mercoledì, maggio 24, 2006

...tempo...

martedì, maggio 23, 2006

clicca su
Venezia Santa Lucia-Bassano del Grappa
un video di Alessandro Moretto

lunedì, maggio 22, 2006

G&G

"......... per natura le regole sono fragili, spesso si dissolvono nel nulla. Secondo alcuni le regole, ancora prima di diventare fragili, vanno sfidate, demolite.
Quando lavoriamo a un'immagine, cerchiamo di convincerci che stiamo sbagliando. In tutta la storia dell'umanità non c'è nessuno che abbia scritto un libro o composto una partitura sapendo in anticipo cosa fare. Se inizi un lavoro sapendo di sbagliare, allora è possibile che tu scopra qualcosa"

Gilbert&George
ossessioni e compulsioni
EDUCAZIONE:
Dal latino e-ducere, letteralmente “trarre fuori”, poi usato soprattutto con i significati di “condurre”, “allevare”.
Sembrerebbe proprio che alle origini del significato odierno ci sia una metafora ripresa dalla pastorizia: portare fuori il bestiame dai recinti e condurlo al pascolo sorvegliandolo e accudendolo. Non si rida, perché, di fatto, l’associazione di idee latina è pertinente con quella che è stata ed è, nel bene e nel male, la prassi dell’educazione. Nel bene: la cura che si ha di qualcosa di prezioso. Nel male: l’enfasi sul controllo anziché sulla creatività e sull’autonomia (colui che e-duca, il docente è etimologicamente “duce” colui che conduce), il fatto che l’uscita da un recinto preluda a un ritorno dentro l’area recintata. Chi ricorda l’ingresso in classe dei bambini in fila per due affiancati al maestro non faticherà a vedere che la connessione con il bestiame non è campata in aria.

Di Greta Helgadottir Vermeer




FAMIGLIA:
Dal latino famiglia, che originariamente designava “l’insieme dei famuli”.
I Famuli erano i servitori che vivevano presso lo stesso focolare domestico.
È comunemente accettata la l’interpretazione di Gesualdo Delendati Scotti, risalente ai primi del ‘900, che per primo sottolineò come nella Roma antica l’autorità del pater familias fosse tale da spingere verso l’assimilazione di tutti gli abitanti della casa a membri della famiglia senza distinzione di vincolo, parentale o servile. L’interpretazione non cambierebbe qualora si recepisse il suggerimento di Semerano, che , come al solito, individua la radice nell’accadico, nella fattispecie hammu , “padre”. In effetti il potere del capo famiglia romano era assoluto. Figli e schiavi erano quasi la stessa cosa, a differenziarli era semmai il destino a loro riservato. Se infine, accettiamo l’approfondimento di Matveien (preziosi questi latinisti finnici!), tutti erano famuli rispetto al pater , nel senso di “ coloro che ricevono nutrimento”. La famiglia era pertanto tale solo nella relazione tra uno, il capo, e i molti, e non nel rapporto di parentela tra individui. Successivamente, esclusi i servi, il gruppo famigliare è stato individuato nei discendenti da un antenato comune, che poteva essere vivente o defunto a seconda dell’estensione di volta in volta presa in considerazione. Benché dimenticate, le origini all’insegna dell’autorità e del nutrimento hanno lasciato il segno nel tempo. La famiglia è stata, ed ancora è, il teatro del conflitto tra sicurezza e libertà. Storicamente, non necessariamente in ogni caso, la famiglia ha svolto la funzione di tutrice della prima contro la seconda. Oggi, i tempi sono percepiti come insicuri, è necessaria non una rottura contro il passato, ma un riequilibrio delle posizioni. La famiglia ha bisogno di aprirsi ad una pluralità di modelli possibili.

Di Greta Helgadottir Vermeer

domenica, maggio 21, 2006

non parlo di Pollok


Non è la dimensione delle memorie smarrite,
ma il mare profondo e ribollente dell' essere,
da cui provengono le spinte all' agire.
Il credo della società puritana d' America è che
si esiste per fare; è vero il contrario, si fa per
esistere, bisogna fare l' esistenza.
Prima dell' azione non c'è nulla: non un soggetto
ed un oggetto, non uno spazio in cui muoversi
un tempo in cui durare. Pollok parte veramente
da zero dalla goccia di colore che lascia cadere
sulla tela. La sua tecnica del dripping lascia un
certo margine al caso: senza caso non c'è
esistenza. Il caso è la liberta rispetto alle leggi
della logica, ma è anche la condizione di necessità
per cui, vivendo, si affrontano ad ogni istante
situazioni impreviste. La salvezza non è nella
ragione che fa progetti, ma nella capacità di vivere
con lucidità la casualità degli eventi. Tutto sta nel
trovare il proprio ritmo e nel non perderlo,
qualsiasi cosa accada.

G.C. Argan

sabato, maggio 20, 2006

giovedì, maggio 18, 2006

decadenza e poi

mercoledì, maggio 17, 2006

.progettodurden.com/

L'inpensabile è quello che succede

db_1

martedì, maggio 16, 2006

Il popolo delle talpe - la factory di...

"Talpe in quanto si facevano vedere solo di notte,con gli occhiali da sole e un pallore che era il risultato di anni di esistenza sotterranea;e Talpe perchè era evidente che stavano scavando un tunnel verso follie ancora più enormi,inimmaginabili a chi non fosse del giro...Quando la porta si aprì entrai nella stanza sul retro,lo spogliatoio
della follia."(m.w.)
Presagio triste
"eppure nel mio cuore intravedevo un tenue luccichio. Sembrava dirmi che qualche cosa mancava, qualcosa era ancora sospeso. Forse era solo una mia fantasia... Che creatura triste l'essere umano, non c'è nessuno che riesca a fuggire del tutto dall'incantesimo dell'infanzia..." (b.y.)

lunedì, maggio 15, 2006

tunnel in db

titolo

scrivi

domenica, maggio 14, 2006



Vi ho parlato per un anno di RETE.
Mi rendo conto che non è facile… Non è facile lottare contro la nostra “formazione” di base. Il primo linguaggio che apprendiamo (ma non solo il primo) ci entra nel sangue, diventa carne: a un preciso stimolo, senza passare per il necessario tempo di attenzione, coincide una conseguente reazione. E’ così in famiglia (primo modello sociale), ed è così in seguito, nelle normali relazioni quotidiane. Vi sembrerà eccessivo, ma è quel che normalmente accade. Facciamo un esempio: il primo giorno di scuola. In quanti sarebbero disposti a pagare pur di sentirsi dare degli ordini? L’“istinto” che prevale è quello di fuggire dallo specchio che il professore ti mette davanti: si chiede un modulo da “eseguire” più che un modello da seguire. L’ideale per molti sarebbe quello di poter contare su un preciso programma di lavoro che preveda esercizi tesi ad un relativo indottrinamento: non tanto per poter verificare quel che è giusto e quel che è sbagliato, ma solo per poter trovare un luogo già strutturato che sollevi dal “peso” di doverlo, quotidianamente, costruire. E’ l’illusione del marketing: si sceglie una maglia o un paio di scarpe, e si indossa così un’idea, si dichiara un’appartenenza culturale. E’ per questa “astensione” inconscia dell’umano dal gesto, dalla presenza, che ci ritroviamo molto spesso a confrontarci con dei risvegli bruschi ed inaspettati. Pensate (con le debite differenze) a quel che succede in questi giorni nel calcio: ci si rende conto che i nostri abbonamenti a sky, il nostro “impegno” nel commentare un risultato, il nostro abbonamento in curva, non fondavano sulla magia della condivisione ma solo sulla regia di qualche “esperto” del settore. Eppure lo sapevamo tutti… Bastava una chiacchierata al “bar dello sport” di domenica pomeriggio per conoscere ogni retroscena di un malcostume fin troppo esibito. Così era successo anche (ma non solo) in occasione di tangentopoli: da anni si ironizzava sui “festini” dei socialisti, sulla verticalizzazione di una politica tesa soprattutto a costruire sottopoteri controllabili e basati, per questo, sui modelli mutuati dalle morali più banali e comunemente “accettate”. Ma nessuno reagiva. Perché? Semplicemente perché l’arbitro vuole far carriera al pari del giocatore: vuole andare sui campi di serie A. E per poter accedere alla massima serie bisogna “conoscere le regole” e seguirle “ciecamente”… e come ho detto, in troppi non chiedono di meglio che d’esser indottrinati sui “fondamentali” che regolano il “sistema”. E’ incredibile ma ci sorprendiamo a dire continuamente: “lo sapevamo”. Si, perché veramente lo sapevamo: lo sapevano i comici che su queste “distorsioni” costruivano i loro sketch, lo sapevamo noi quando abbandonavamo sul nascere i molti progetti, che costruivamo sull’onda del nostro sano entusiasmo, davanti ai consigli dei molti che si affrettavano puntualmente a spiegarci “com’è difficile entrare nel giro e metterli in pratica”. La rete, condizione indispensabile all’umano (parafrasando direi: io è gli altri), in realtà assumeva (nei discorsi dei nostri interlocutori) sempre una forma distorta e i fili, anziché intrecciarsi, convergevano sui soliti bastoni manovrati abilmente dai pochi “che sanno”. Ho cercato di spiegare con forza che non è proprio così che vanno le cose: la rete (e non parlo di internet) è, anche se manipolabile, indissolubilmente legata per sua natura alla libertà. E’ la sua forma, e la nostra libertà non è una scelta, ma un destino. Basta fermarsi un momento a ragionare, azzerare alcuni meccanismi di difesa e osservare tutto con cura, legittimando ogni cosa prima di abbandonarla come “inadeguata” o “improduttiva” aderendo così a schemi conosciuti. C’è una trappola nella comunicazione, ma non è una trappola la comunicazione. L’opera d’arte insegna questo. E’ indispensabile abbandonare la ricerca di una pratica a cui far aderire la nostra produzione e recuperare l’istinto infantile ad apprendere, filtrandolo attraverso il distacco maturo nei confronti dell’emulazione (che non ci si presenta come pericolo solo sullo strato della forma, anzi: questo non è certo più un pericolo). Il fatto è che non esiste nulla, nella realtà, da indossare senza averlo, preventivamente, fatto proprio…altrimenti ci attende il solito disincantato risveglio. Il confronto non può limitarsi al paradossale campo d’azione che ci vede impegnati soprattutto nell’affermare e far accettare la nostra esistenza. In troppi chiedono, semplicemente, di poter lavorare nel proprio specifico (anche con uno stipendio che consenta solo la sopravvivenza) per poter affermare che tutto funziona nel migliore dei modi. In troppi, però, preferiscono adeguarsi accumulando saperi finalizzati al consolidamento di questo stato di cose, piuttosto che passare a forme (sicuramente più dispendiose) che prevedono un attivismo ed una responsabilità più consona al grado di libertà che auspichiamo. Produrre, si sa, è più difficile che indossare, ma non c’è scampo all’attenzione: la rete è il nostro destino. L’affermazione della propria autorialità non coincide con l’affermazione della propria identità. Lo sapevano gli antichi quando cercavano la regola formale (la sezione aurea e le altre regole armoniche) che “mostrasse” le infinite relazioni che legano il micro ed il macro. Lo sappiamo noi che, con maggiore energia rispetto a quel che “dobbiamo” fare (l’etimo di dovere è obbedire), cerchiamo di costruire forme di condivisione tese a legittimare la nostra presenza nel mondo.
Vi ho parlato per un anno di ERRORE come metodo.
L’arte oggi prevede un autore, un sistema di promozione dell’opera (gallerie, musei, aste) e un collezionismo che convalidi il valore dell’opera convertendolo in valore economico; ma abbiamo visto come questo “luogo comune” sia relativo ad un processo assolutamente marginale rispetto all’enorme produttività contemporanea. Possiamo dire che le “gallerie d’arte” (intendendole come strutture tese a costruire canali di vendita) sono ormai veramente rare: le norme fiscali hanno costretto la maggior parte delle realtà più solide e serie a vestire i panni del “no profit”, trasformandosi in comitati, associazioni, etc. Da tempo moltissimi artisti realizzano opere “vendibili” (disegni per lo più) esclusivamente per poter finanziare altri progetti. La crisi della critica è ormai nota (dalla letteratura al cinema, dalle arti visive alla musica), al punto che critico ed artista si alternano nel più vago ed elastico ruolo di “curatore”. In una realtà così difficile è chiaro che l’idea di adeguarsi a modelli preesistenti diventa, oltre che difficile, assolutamente inutile. I musei sono strutture inadeguate perché ancora basate su principi lineari poco flessibili. La pratica artistica contemporanea richiede allo spettatore un ruolo completamente diverso da quello previsto dalle strutture attualmente attive. Non è possibile produrre qualcosa di interessante se non su progetti che trascendano gli ambiti disciplinari, e questi progetti devono assumere forme sempre nuove per poter produrre “cultura”. Si perché non esiste più qualcuno che si possa assumere autonomamente il compito di produrre solamente (come l’artista), o solamente di promuovere (come il museo). Si tratta di far funzionare la rete, assumendoci la responsabilità a cui siamo destinati, proprio perché liberi. Musica, arte visiva, letteratura, non devono trovare i rispettivi confini ma tornare ad attingere alla loro natura comune: la poesia. Poiesis è semplicemente il nome del fare.

Non tutto è corretto, ma bisogna difendere anche le posizioni che non si condividono. Vediamo quanto di profetico c’è in questo articolo di un paio d’anni fa: La morte dell'arte nata morta. Il domenicale non è una pubblicazione “obiettiva”, ma tanto vale….

Vi ricordo qualche link relativo all’ultimo lunedì:

http://www.produzionidalbasso.com/italy/index.php
http://www.molleindustria.it/
http://video.google.com/
http://it.wikipedia.org/wiki/Claude_Shannon
http://europa.eu/scadplus/leg/it/s06020.htm
http://www.lavorivariabili.it/redlab/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=981
http://www.obttv.com/cobrandit.html
http://www.milanourbano.com/
http://billboardom.blogspot.com/2005/08/people-steal-billboard.html
http://www.kleptones.com/pages/downloads_hiphopera.html
http://www.ricordibastardi.info/
http://www.ubermorgen.com/2005/

sabato, maggio 13, 2006

giocattoli

tabelle vuote che ballano, colorate.

http://www.artisopensource.net/giocattoli



mercoledì, maggio 10, 2006

DIA

Questo spazio è fisico, e voi che per primi lo visitate lo sapete bene.
Questo luogo non ha precisi confini, se non quelli che la sua evoluzione ci renderà visibili.
Questo laboratorio sarà attivo, se vorremo renderlo tale.
Star qui dentro significa tessere reti, riconoscere e riconoscersi una sorta di diritto ad esistere...comunque. Ma significa soprattutto decidere di iniziare, lasciare che le nostre sorti individuali (qualsiasi siano) non vengano determinate banalmente solo dalle nostre intenzioni, ma piuttosto dal fiducioso abbandono ad un flusso che, seppur ci sia proprio, ci risulta (ancora) assolutamente oscuro e senza fine alcuno.
Cambiare punto di vista serve, molto spesso, a comprendere tutto quel che ci risulta opaco o troppo complesso. Questo è un punto di vista diverso, proprio perchè è sempre altrove, nella differenza che contraddistingue ognuno di noi dal prossimo che posterà l'ultimo messaggio, immagine, link...
Da qui nascerà l'idea per un prossimo sito web, più articolato.
Vediamo cosa succede a mettere decorazione b in rete... in rete con chi? In rete con cosa? Prima di tutto con se stessa...poi vedremo.