domenica, maggio 14, 2006



Vi ho parlato per un anno di RETE.
Mi rendo conto che non è facile… Non è facile lottare contro la nostra “formazione” di base. Il primo linguaggio che apprendiamo (ma non solo il primo) ci entra nel sangue, diventa carne: a un preciso stimolo, senza passare per il necessario tempo di attenzione, coincide una conseguente reazione. E’ così in famiglia (primo modello sociale), ed è così in seguito, nelle normali relazioni quotidiane. Vi sembrerà eccessivo, ma è quel che normalmente accade. Facciamo un esempio: il primo giorno di scuola. In quanti sarebbero disposti a pagare pur di sentirsi dare degli ordini? L’“istinto” che prevale è quello di fuggire dallo specchio che il professore ti mette davanti: si chiede un modulo da “eseguire” più che un modello da seguire. L’ideale per molti sarebbe quello di poter contare su un preciso programma di lavoro che preveda esercizi tesi ad un relativo indottrinamento: non tanto per poter verificare quel che è giusto e quel che è sbagliato, ma solo per poter trovare un luogo già strutturato che sollevi dal “peso” di doverlo, quotidianamente, costruire. E’ l’illusione del marketing: si sceglie una maglia o un paio di scarpe, e si indossa così un’idea, si dichiara un’appartenenza culturale. E’ per questa “astensione” inconscia dell’umano dal gesto, dalla presenza, che ci ritroviamo molto spesso a confrontarci con dei risvegli bruschi ed inaspettati. Pensate (con le debite differenze) a quel che succede in questi giorni nel calcio: ci si rende conto che i nostri abbonamenti a sky, il nostro “impegno” nel commentare un risultato, il nostro abbonamento in curva, non fondavano sulla magia della condivisione ma solo sulla regia di qualche “esperto” del settore. Eppure lo sapevamo tutti… Bastava una chiacchierata al “bar dello sport” di domenica pomeriggio per conoscere ogni retroscena di un malcostume fin troppo esibito. Così era successo anche (ma non solo) in occasione di tangentopoli: da anni si ironizzava sui “festini” dei socialisti, sulla verticalizzazione di una politica tesa soprattutto a costruire sottopoteri controllabili e basati, per questo, sui modelli mutuati dalle morali più banali e comunemente “accettate”. Ma nessuno reagiva. Perché? Semplicemente perché l’arbitro vuole far carriera al pari del giocatore: vuole andare sui campi di serie A. E per poter accedere alla massima serie bisogna “conoscere le regole” e seguirle “ciecamente”… e come ho detto, in troppi non chiedono di meglio che d’esser indottrinati sui “fondamentali” che regolano il “sistema”. E’ incredibile ma ci sorprendiamo a dire continuamente: “lo sapevamo”. Si, perché veramente lo sapevamo: lo sapevano i comici che su queste “distorsioni” costruivano i loro sketch, lo sapevamo noi quando abbandonavamo sul nascere i molti progetti, che costruivamo sull’onda del nostro sano entusiasmo, davanti ai consigli dei molti che si affrettavano puntualmente a spiegarci “com’è difficile entrare nel giro e metterli in pratica”. La rete, condizione indispensabile all’umano (parafrasando direi: io è gli altri), in realtà assumeva (nei discorsi dei nostri interlocutori) sempre una forma distorta e i fili, anziché intrecciarsi, convergevano sui soliti bastoni manovrati abilmente dai pochi “che sanno”. Ho cercato di spiegare con forza che non è proprio così che vanno le cose: la rete (e non parlo di internet) è, anche se manipolabile, indissolubilmente legata per sua natura alla libertà. E’ la sua forma, e la nostra libertà non è una scelta, ma un destino. Basta fermarsi un momento a ragionare, azzerare alcuni meccanismi di difesa e osservare tutto con cura, legittimando ogni cosa prima di abbandonarla come “inadeguata” o “improduttiva” aderendo così a schemi conosciuti. C’è una trappola nella comunicazione, ma non è una trappola la comunicazione. L’opera d’arte insegna questo. E’ indispensabile abbandonare la ricerca di una pratica a cui far aderire la nostra produzione e recuperare l’istinto infantile ad apprendere, filtrandolo attraverso il distacco maturo nei confronti dell’emulazione (che non ci si presenta come pericolo solo sullo strato della forma, anzi: questo non è certo più un pericolo). Il fatto è che non esiste nulla, nella realtà, da indossare senza averlo, preventivamente, fatto proprio…altrimenti ci attende il solito disincantato risveglio. Il confronto non può limitarsi al paradossale campo d’azione che ci vede impegnati soprattutto nell’affermare e far accettare la nostra esistenza. In troppi chiedono, semplicemente, di poter lavorare nel proprio specifico (anche con uno stipendio che consenta solo la sopravvivenza) per poter affermare che tutto funziona nel migliore dei modi. In troppi, però, preferiscono adeguarsi accumulando saperi finalizzati al consolidamento di questo stato di cose, piuttosto che passare a forme (sicuramente più dispendiose) che prevedono un attivismo ed una responsabilità più consona al grado di libertà che auspichiamo. Produrre, si sa, è più difficile che indossare, ma non c’è scampo all’attenzione: la rete è il nostro destino. L’affermazione della propria autorialità non coincide con l’affermazione della propria identità. Lo sapevano gli antichi quando cercavano la regola formale (la sezione aurea e le altre regole armoniche) che “mostrasse” le infinite relazioni che legano il micro ed il macro. Lo sappiamo noi che, con maggiore energia rispetto a quel che “dobbiamo” fare (l’etimo di dovere è obbedire), cerchiamo di costruire forme di condivisione tese a legittimare la nostra presenza nel mondo.
Vi ho parlato per un anno di ERRORE come metodo.
L’arte oggi prevede un autore, un sistema di promozione dell’opera (gallerie, musei, aste) e un collezionismo che convalidi il valore dell’opera convertendolo in valore economico; ma abbiamo visto come questo “luogo comune” sia relativo ad un processo assolutamente marginale rispetto all’enorme produttività contemporanea. Possiamo dire che le “gallerie d’arte” (intendendole come strutture tese a costruire canali di vendita) sono ormai veramente rare: le norme fiscali hanno costretto la maggior parte delle realtà più solide e serie a vestire i panni del “no profit”, trasformandosi in comitati, associazioni, etc. Da tempo moltissimi artisti realizzano opere “vendibili” (disegni per lo più) esclusivamente per poter finanziare altri progetti. La crisi della critica è ormai nota (dalla letteratura al cinema, dalle arti visive alla musica), al punto che critico ed artista si alternano nel più vago ed elastico ruolo di “curatore”. In una realtà così difficile è chiaro che l’idea di adeguarsi a modelli preesistenti diventa, oltre che difficile, assolutamente inutile. I musei sono strutture inadeguate perché ancora basate su principi lineari poco flessibili. La pratica artistica contemporanea richiede allo spettatore un ruolo completamente diverso da quello previsto dalle strutture attualmente attive. Non è possibile produrre qualcosa di interessante se non su progetti che trascendano gli ambiti disciplinari, e questi progetti devono assumere forme sempre nuove per poter produrre “cultura”. Si perché non esiste più qualcuno che si possa assumere autonomamente il compito di produrre solamente (come l’artista), o solamente di promuovere (come il museo). Si tratta di far funzionare la rete, assumendoci la responsabilità a cui siamo destinati, proprio perché liberi. Musica, arte visiva, letteratura, non devono trovare i rispettivi confini ma tornare ad attingere alla loro natura comune: la poesia. Poiesis è semplicemente il nome del fare.

Non tutto è corretto, ma bisogna difendere anche le posizioni che non si condividono. Vediamo quanto di profetico c’è in questo articolo di un paio d’anni fa: La morte dell'arte nata morta. Il domenicale non è una pubblicazione “obiettiva”, ma tanto vale….

Vi ricordo qualche link relativo all’ultimo lunedì:

http://www.produzionidalbasso.com/italy/index.php
http://www.molleindustria.it/
http://video.google.com/
http://it.wikipedia.org/wiki/Claude_Shannon
http://europa.eu/scadplus/leg/it/s06020.htm
http://www.lavorivariabili.it/redlab/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=981
http://www.obttv.com/cobrandit.html
http://www.milanourbano.com/
http://billboardom.blogspot.com/2005/08/people-steal-billboard.html
http://www.kleptones.com/pages/downloads_hiphopera.html
http://www.ricordibastardi.info/
http://www.ubermorgen.com/2005/

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Grazie per il tuo interessamento a milanourbano.com, la nostra crociata contro Lucifero continua.

Thomas Summertime
www.milanourbano.com

23:10  

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